non temo nemici, nemmeno il demonio.
Diceva di sé papa Giovanni XXIII: "Comincio a sentire nel mio corpo qualche disturbo che è più che naturale in un vecchio. Lo sopporto in pace, anche se mi è un po' penoso e anche se mi fa temere che si aggravi. Non è piacevole pensarvi troppo; ma, ancora una volta, mi sento pronto a tutto. La mia tranquillità personale, che fa tanto impressione al mondo, sta tutta qui: restare nell'obbedienza, come ho sempre fatto e non desiderare o domandare di vivere neppure un giorno oltre quello in cui la morte deve venire a chiamarmi, a prendermi per condurmi in Paradiso, come confido. Tutti i giorni sono buoni per nascere, tutti i giorni sono buoni per morire".
FONTE: "Messaggero di sant'Antonio" luglio-agosto 2020.
Articolo: "Immaginare l'Italia del futuro" di RITANNA ARMENI.
I soldi ci sono. Non tanti quanti ne occorrebbero per il rilancio di un'economia dissestata. Non tutti nei tempi necessari per intervenire tempestivamente. Sottoposti a regole precise e probabilmente non del tutto adeguate ai nostri desiderata. Ma ci sono.
Al governo, alla classe politica ora il compito di spenderli bene. Di usarli davvero per il rilancio del Paese, per uscire dalla crisi, per rendere più sicura la vita di tanti e di tante.
I dati sul Pil e le previsioni della Banca centrale sono davvero allarmanti. Il Prodotto interno lordo si ridurrà nel 2020 di un 9 per cento che potrebbe diventare il 13 nel caso di una ripresa della pandemia in autunno. Il debito pubblico sul Pil potrebbe salire al 160 per cento. E qui comincia il probema.
Come si spendono questi soldi faticosamente trattati e raggiunti? Con quali priorità? A quale fine? Quali degli antichi errori è bene evitare? Quali nuovi comportamenti devono essere praticati? E' necessario fare alcune premesse.
Il denaro che l'Europa elargirà non è un regalo. In parte (cospicua) sono risorse che ogni Paese, quindi anche l'Italia, ha versato e che ci vengono restituiti. Soldi che i cittadini italiani hanno versato attraverso le tasse e che dovranno, in buona parte, essere a loro volta restituiti. Si tratta di un debito che contraiamo e che va onorato. Se questo non accadesse, al di là delle regole e dei dettami europei, per l'Italia sarebbe davvero la catastrofe, significherebbe l'assoggettamento a economie più forti e probabilmente spietate. In poche parole sul modo in cui si spendono i miliardi si giocano le sorti del Paese, quel che saprà o potrà essere nei prossimi anni. Con un rischio che non è esagerato definire mortale.
Il dibattito appena avviato non è di buon auspicio. I partiti sembrano più intenzionati a seguire i propri interessi elettorali che quelli più generali, le ricette appaiono sempre le stesse: assistenzialismo ai redditi più deboli, riduzione delle tasse non meglio specificata, incentivi e sostegno alle imprese, economia green.
Soluzioni che prima che essere sbagliate (alcune possono anche essere giuste) sono parziali ed eludono il problema centrale. Non si possono disperdere i fondi raggiunti con una faticosa trattativa in mille rivoli. Il Paese ha bisogno di un progetto generale d'investimenti, di una visione d'insieme, di un rilancio che riguarda tutti, proprio tutti, i settori economici e sociali, che risponda alla domanda cruciale: quale lavoro, quale futuro per i giovani? Non si tratta di agevolare questa o quella parte sociale, né di incentivare questo settore o quell'altro.
Si tratta di approfittare della possibilità che l'Europa offre per ricostruire un Paese la cui economia è in gran parte distrutta o poco concorrenziale. Di riparare alle ingiustizie e alle diseguaglianze già profonde e che la pandemia ha acuito. Si tratta, in poche parole, di immaginare l'Italia del futuro. E il ruolo e la responsabilità che lo Stato deve assumersi nella sua costruzione. Non è poco ma è ineludibile.